Domenico Celi in visita alla Sezione di Rimini

“Donarsi agli altri” 

Tornato a casa dopo la RTO e una cena con Domenico Celi posso dire di essere stato davvero felice. Felice di aver ascoltato parole, felice di aver trascorso del tempo con un arbitro di serie A, felice di aver incontrato un uomo semplice. Ho un debole per le persone semplici perché credo nell’essenzialità, nella bellezza del donare e nella semplicità dell’umanità. Caratteristiche che ho ritrovato perfettamente in Mimmo, (così si fa chiamare Domenico Celi, che per onore di cronaca ha diretto 141 partite nella massima serie nazionale) un uomo che davvero non me lo aspettavo così umano. Ho scoperto la bellezza della semplicità anche ad alti livelli, ho scoperto l’essenzialità di un arbitro, di un fratello e di un padre. Un padre che ha saputo piangere davanti ai suoi figli tutti i giorni per un anno interno, perché aveva scelto di non arrendersi e di non smettere di sognare, intrepido, ancora una volta, la designazione della partita successiva. Ha pianto per 12 ore al giorno, perché si allenava 12 ore al giorno. Ha pianto perché i sogni costano sacrificio, impegno, determinazione. Mimmo mi ha fatto comprendere che tutti noi possiamo raggiungere i nostri obiettivi, ma per arrivarci non basta farsi un programma, serve l’amore. Ho visto nei suoi occhi l’amore per un’associazione, l’amore non per un hobby, ma per una parte essenziale del suo cuore. Un amore fatto di fatiche, pianti e naturalmente di gioie e mete raggiunte.
Mimmo mi ha rimproverato, mi ha detto che non dovevo stare al cellulare, mentre lui parlava. Non me l’ha detto con la presunzione di uno dieci volte più importante di me, neppure di una; lo ha detto da uomo che crede nelle cose che dice e spera che le persone davanti a lui possano carpire la passione che mette in questa associazione.
Mimmo non ha parlato dei suoi successi, perché, se vi devo dire la mia opinione, i successi demoralizzano un po’ i giovani arbitri che arrivano ad ascoltare i grandi fischietti della serie a. Mimmo ha parlato della sua vita, della sua dedizione, della cura e dell’amore che ha posto nell’arbitraggio.
Mimmo mi ha colpito così tanto perché forse sono un po’ come lui: naturalmente non bravo come lui ad arbitrare, … ci mancherebbe…, ma invece, testardo come lui, un po’ sì.

“Se prendo un impegno, devo vincere!”

Sono queste le parole di Mimmo, parole che sento anche mie, e che mi ha fatto piacere sentire anche da una persona così bella.
Alfredo Trentalange ama le parole “etica e umanizzazione”. Credo che le ami anche Mimmo. Le amo anche io. Quella sera le ho sentite toccarmi proprio nel profondo. Era un po’ che non le sentivo vicine; poi passa qualcuno che ti dona opportunità, possibilità, occasioni, incontri, volti…

“Donarsi agli altri!” Credo che siano queste le parole che sintetizzano il discorso di Mimmo riguardo all’associazione, una delle poche che riunisce ragazzi di quindici anni a ragazzi di sessanta. Persone tutte con caratteristiche diverse, ma con un bisogno che le accomuna: “il bisogno di prendere”, il bisogno di ricevere consigli, critiche costruttive, amicizie, amore, gioia, felicità…
Questo è l’AIA, questo è essere arbitri: donarsi agli altri, aver rispetto degli altri, all’interno dell’associazione in primis, nel campo ogni volta, ma anche nella vita di tutti i giorni.

“Se noi arbitri, non abbiamo rispetto dei calciatori, come possiamo pretendere il rispetto?”

Mimmo continua con le sue perle di umanità. Non potete comprendere la felicità che si era accumulata nel mio animo dopo la riunione, una felicità che mi ha fatto anche sognare. 
Per Mimmo l’arbitro più bravo non è quello che non cade, ma quello che se cade si alza per primo, pronto a rilanciarsi, a sfidarsi, a superarsi. Un arbitro non deve fermarsi alle decisioni che prende durante il match, ma deve continuare a correre e ad arbitrare, quasi dimenticandosi le scelte dell’attimo prima, perché, giuste o sbagliate, queste non possono condizionare il resto della partita. L’arbitro non deve vivere né tra l’alloro della convinzione della scelta giusta, né tra gli abissi scuri dell’errore più tenebroso. Deve imparare ad andare oltre alle proprie decisioni e continuare a fare ciò che gli piace di più: divertirsi arbitrando.
Mimmo ha parlato a me e a tutti i giovanissimi dell’associazione. Mi e ci ha dato un compito assai speciale: “Chiedere, parlare e rubare qualcosa”. Quei lunedì passati in sezione, quei ritrovi casuali, quelle partite viste in compagnia di colleghi… AIA è famiglia. Non sono parole mie sono parole di Mimmo, parole pronunciate con una semplicità, una fermezza e una gioia non comuni. Parole che sono diventate anche mie e di ciascun ragazzo che sta leggendo queste poche righe. Abbiamo un dovere nei confronti di Mimmo: impegnarci; dobbiamo “picchiare duro ogni giorno”.
Siamo una famiglia e dobbiamo aiutarci, accarezzarci e abbracciarci. Dobbiamo far bene il nostro compito, perché la settimana dopo su quello stesso campo ci va un nostro collega, un nostro fratello. Non siamo mai soli, poiché portiamo sul petto il volto di tutti i nostri colleghi arbitri e non possiamo permetterci di non impegnarci ed essere svogliati: dobbiamo in ogni momento esprimere i nostri valori. Valori e specialmente fratelli che bisogna difendere con forza, sempre, in ogni occasione, non cadendo nel vile gesto del disprezzo, ma pronti sempre a metterci la faccia per quel fratello che è caduto. 

“Immaginatevi le scene, immaginatevi un fallo e un vostro provvedimento disciplinare… Immaginatevi, non correte solamente, ma durante gli allenamenti, sul campo correte immaginandovi la scena, fischiate, indicate il dischetto di rigore, sedate la rissa che si è creata davanti a voi, e immaginatevi, immaginatevi…”

Ringrazio Mimmo di cuore perché mi ha lasciato impressa una parola: speranza; e dentro alla speranza ce ne sono tante altre. Finita la cena Mimmo è andato a prendere il treno: l’intercity notte che alle 7 sarebbe arrivato a Bari per permettergli alle 8 di iniziare il turno di lavoro. La sua mitezza nel dire che avrebbe dormito in treno e che poi l’indomani sarebbe stato pronto a lavorare, mi ha stupito. Donarsi agli altri con gratuità, semplicemente amando.
Tale semplicità che tu, Mimmo, mi hai donato, me la ricorderò a lungo, speranzoso un giorno di poterti rivedere e poterti nuovamente ringraziare per il dono dell’umanità che mi hai testimoniato.

Giovanni Antonini